In certi circoli è alla moda derogare ad altri studi che vengono definiti “capitalista-centrici”. Non solo non vedo nulla di sbagliato in tali studi, premesso, ovviamente, che le opinioni che nascono da loro non siano troppo forzate e nella direzione sbagliata, ma penso anche che sia importante che si facciano studi sul capitale molto più sofisticati e approfonditi per facilitare una migliore comprensione dei recenti problemi originati dall’accumulo del capitale.
Come possiamo interpretare altrimenti i problemi contemporanei persistenti di disoccupazione di massa, la spirale in discesa dell’economia di sviluppo in Europa e in Giappone, le instabili battute di Cina, India e degli altri cosiddetti paesi del BRIC? Senza una pronta guida alle contraddizioni che sostengono tali fenomeni saremmo persi. È sicuramente miope, se non pericoloso e ridicolo, respingere interpretazioni e teorie “capitalista-centriche” di come funziona il motore economico dell’operazione di accumulo di capitale in relazione alla congiuntura attuale. Senza tali studi probabilmente verificheremmo erroneamente e fraintenderemmo gli eventi che si verificano intorno a noi. Erronee interpretazioni quasi certamente portano a una politica errata il cui probabile esito sarà quello di aggravare piuttosto che alleviare le crisi di accumulazione e la miseria sociale che ne deriva. Questo è, credo, un problema serio in gran parte del mondo capitalista contemporaneo: le politiche erronee basate su teorizzazioni erronee stanno aggravando le difficoltà economiche e esacerbando il disturbo e la miseria sociale che ne derivano. Per il presunto “anti-capitalista” il movimento ora in formazione è ancora più importante non solo per capire cosa esattamente è e come potrebbe essere al contrario, ma anche per articolare un chiaro discorso su come un movimento anti-capitalista abbia senso nei nostri tempi e perché un tale movimento sia così imperativo se la massa dell’umanità tende a voler vivere una vita decente negli anni difficili a venire. La storia che ci viene ripetuta ovunque, dalle nostre aule a praticamente tutti i media, è che il modo più economico, migliore e più efficiente di procurarsi i valori d’uso comune è attraverso l’abbattimento degli spiriti animali dell’imprenditore affamato di profitto che partecipa al sistema di mercato.
Per questo motivo, molte categorie di valori di utilizzo che erano finora fornite gratuitamente dallo Stato sono state privatizzate e mercificate – alloggi, istruzione, sanità e pubblica utilità sono andati tutti in questa direzione in molte parti del mondo. La World Bank insiste perché questa sia la norma globale. Ma è un sistema che funziona per gli imprenditori, che in generale ottengono profitti ingenti, e per i loro clienti, ma penalizza quasi tutti gli altri fino a precludere l’uso di circa 4-6 milioni di alloggi negli Stati Uniti (e innumerevoli altri in Spagna e tanti altri paesi). La scelta politica è tra un sistema mercificato che serve i ricchi abbastanza bene e un sistema che si concentra sulla produzione e l’offerta democratica di valori d’uso per tutti senza nessuna mediazione del mercato.
Norbert Elias: “Il Processo di Civilizzazione”
Se i membri di potenti formazioni sociali, quando si vedono sfuggire il potere, sono pronti a combattere senza che nessun mezzo appaia loro troppo crudele e barbaro, è perché il loro potere e la loro immagine di sé in quanto formazione grande e potente hanno per essi un valore superiore a tutto […]. E quanto più nel loro declino divengono deboli, insicuri e disperati, quanto più acutamente si rendono conto di combattere con le spalle al muro per la loro superiorità, tanto più il loro comportamento diviene brutale, tanto più acuto diviene il pericolo che disdegnino e distruggano quel comportamento civilizzato di cui sono orgogliosi. Infatti per i gruppi dominanti gli standard civilizzati di comportamento sotto molti aspetti hanno un senso solanto finché restano, accanto ad altre funzioni, simboli e strumenti di potere. Perciò le élite di potere, le classi o le nazioni dominanti spesso combattono in nome dei loro valori superiori e della loro superiore civilizzazione con metodi diametralmente opposti ai valori che affermano invece di difendere. Ma, ridotti con le spalle al muro, questi difensori della civilizzazione ne divengono facilmente i maggiori distruttori. Facilmente diventano barbari.
Ivan Krastev: “La Grande Regressione”
Jowitt concordava con Fukuyama sul fatto che non sarebbe apparsa nessuna nuova ideologia universale capace di sfidare la democrazia liberale, ma prevedeva il ritorno di vecchie identità etniche, religiose e tribali. E infatti uno dei paradossi della globalizzazione è che la libera circolazione di persone, capitali, beni e idee, se avvicina i popoli, riduce anche la capacità degli stati-nazione di integrare gli stranieri. Come ha osservato Arjun Appadurai una decina di anni fa, “lo stato-nazione si è progressivamente ridotto alla finzione della sua etnia come ultima risorsa culturale su cui possa esercitare un pieno controllo”.
La conseguenza accidentale delle politiche economiche che seguono il mantra “non c’è alternativa” è che le politiche identitarie hanno occupato il centro della politica europea. Il mercato e internet, pur avendo dimostrato di essere forze potenti capaci di aumentare le possibilità di scelta degli individui, hanno eroso la coesione sociale delle società occidentali, in quanto entrambi rafforzano l’inclinazione dell’individuo a soddisfare le sue preferenze naturali, come preferire il contatto con i propri simili tenendosi lontani dagli stranieri. Viviamo in un mondo che è più connesso ma anche meno integrato. La globalizzazione connette disconnettendo. Jowitt avvertiva che in questo mondo connesso/disconnesso bisogna prepararsi a esplosioni d’ira e a “movimenti di rabbia” nati dalle ceneri degli stati-nazione indeboliti.
Un decennio fa, il filosofo ed ex dissidente ungherese Gáspár Miklós Tamás faceva notare come l’Illuminismo, in cui l’idea dell’Unione europea affonda le sue radici, preveda una cittadinanza universale. Tale cittadinanza, però, necessita di due precondizioni: o i paesi poveri e disfunzionali diventano paesi in cui valga la pena vivere, oppure l’Europa deve aprire a tutti le sue frontiere. Niente di tutto ciò accadrà nel prossimo futuro, e forse non accadrà mai. Oggi il mondo è popolato da numerosi stati falliti di cui nessuno vuole essere cittadino e l’Europa non ha la capacità di tenere aperte le frontiere, una cosa a cui i suoi cittadini o elettori non acconsentirebbero.
La globalizzazione ha trasformato il mondo in un villaggio, ma questo villaggio vive sotto una dittatura – la dittatura delle comparazioni mondiali. Le persone non confrontano più la propria vita con quella dei vicini, ma con quella degli abitanti più ricchi del pianeta.
In questo nostro mondo interconnesso, l’immigrazione è la nuova rivoluzione: non una rivoluzione novecentesca delle masse, ma una rivoluzione verso l’esterno composta da individui e famiglie e ispirata non dalle immagini del futuro dipinte dagli ideologi ma dalle foto di Google Maps che ritraggono la vita dall’altro lato della frontiera. Questa nuova rivoluzione non ha bisogno di movimenti o leaders politici per avere successo. Così, non dobbiamo sorprenderci se per molti sfortunati del pianeta attraversare i confini europei è più attraente di ogni utopia. Per un numero crescente di persone, l’idea di cambiamento significa cambiare il paese in cui si vive, non il governo sotto cui si vive.
Il problema di questa rivoluzione dei migranti è la sua preoccupante capacità di ispirare una controrivoluzione in Europa. La caratteristica essenziale di molti dei partiti populisti di destra europei è il fatto che siano non tanto nazionalisti e conservatori, quanto reazionari.
Ha Joon Chang: “Bad Samaritans”
L’immagine storica è chiara. La contraffazione non è stata inventata nell’Asia moderna. Quando sono rimasti indietro in termini di conoscenza, tutti i paesi ricchi di oggi hanno bloccato violentemente i brevetti, i marchi e i diritti d’autore di altre persone. Gli svizzeri “hanno preso in prestito” le invenzioni chimiche tedesche, mentre i tedeschi hanno preso in prestito i marchi inglesi e gli americani hanno preso in prestito materiale britannico protetto da copyright, tutti senza pagare quello che oggi sarebbe considerato il “giusto” compenso.
Malgrado questa storia, i paesi ricchi dei Cattivi Samaritani stanno ora costringendo i paesi in via di sviluppo a rafforzare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale a un livello senza precedenti attraverso l’accordo TRIPS e una serie di accordi bilaterali di libero scambio. Essi sostengono che una maggiore tutela della proprietà intellettuale incoraggerà la produzione di nuove conoscenze portando beneficio a tutti, inclusi i paesi in via di sviluppo. Ma è vero?
Ayelet Shachar :”The Birthright Lottery”
Per la stragrande maggioranza della popolazione, coloro che trascorrono la maggior parte della loro vita nel paese di nascita (ius soli) o parentela (ius sanguinis), il passaggio verso ius nexi non comporterà una significativa differenza: acquisiranno la piena cittadinanza di diritto. Tuttavia, questa modifica potrebbe fare una differenza significativa per coloro che si trasferiscono oltre i confini. In particolare, può fare la differenza per due elementi importanti: gli eredi nominali del diritto di nascita (i figli o i nipoti degli emigrati che hanno lasciato il paese di cittadinanza ereditaria) e gli stakeholder residenti a lungo termine che non sono cittadini (quelli che si sono stabiliti in una nuova patria ma ancora non hanno ricevuto la cittadinanza). Quando i processi di globalizzazione si approfondiranno, vedremo probabilmente più individui e famiglie che rientrano in queste categorie, che evidenziano, da diversi punti di vista, la crescente inadeguatezza di affidarsi a definizioni ascrizionali dell’adesione nell’assegnazione delle protezioni legali della cittadinanza e della relativa sicurezza, voce e opportunità.
Ayelet Shachar : “The Birthright Lottery”
Se si presume che le leggi sulla cittadinanza per diritto di nascita siano destinate a servire come ausilio per il futuro coinvolgimento nel paese, allora l’uso di ius soli e ius sanguinis includerà quelli che non hanno legami sostanziali, escludendo tanti che hanno tali legami. Ciò conduce ad una situazione in cui coloro che rimangono al di fuori della definizione ascrizionale, nonostante la condivisione nella propria società ed economia, si vedono negare la sicurezza e la dignità fondamentali associate all’appartenenza. Ma non è necessariamente questo il caso. La mancata istituzione di un nesso tra diritto e dovere può essere affrontata riducendo il peso del diritto di nascita nell’allocazione dei titoli di cittadinanza e adottando invece un nuovo criterio di adesione, ius nexi. Qui la base per l’assegnazione della cittadinanza non è né ius soli (nascita nel territorio) né ius sanguinis (discesa da un genitore membro), ma piuttosto una connessione più fondata che deriva dal partecipare alla comunità associata limitata. Questo approccio sottolinea il significato dell’attuale appartenenza o il fatto sociale di attaccamento oltre ogni privilegio di diritto ereditario.
Ayelet Shachar :”The Birthright Lottery”
Le ultime statistiche disponibili mostrano che circa 1.75 milioni di immigrati sono ammessi annualmente dall’ organizzazione leader dei paesi per la cooperazione economica e lo sviluppo (OCSE). La popolazione residente nelle regioni più povere e meno stabili del mondo ammonta a circa 4,5 miliardi di persone. Ciò porta ad un rapporto di 1: 1500 (0.00065 per cento) tra quelli ammessi e quelli che lo desiderano. Tali schemi forniscono solo un mezzo per misurare il tremendo divario tra il volume potenziale della migrazione internazionale e gli attuali livelli di
ammissione regolare. Ricorda inoltre che questi numeri non contano l’immigrazione clandestina. Né considerano l’enorme numero di persone che possono desiderare di trasferirsi in un altro paese, ma per qualsiasi ragione (personale, finanziario, familiare, politico, ecc.) non hanno effettivamente fatto nessuna domanda di immigrazione formale.
Ayelet Shachar :”The Birthright Lottery”
Quando si parla di nascita come fonte di cittadinanza, bisogna distinguere tra due principi che definiscono l’adesione ad uno stato dell’epoca moderna: ius soli (“la legge del suolo”) e ius sanguinis (“la legge del sangue”). Mentre ius soli e ius sanguinis sono tipicamente presentati come antipodi, è importante notare che entrambi si affidano e sostengono una concezione di appartenenza limitata. Condividono l’assunzione di base della scarsità: solo un pool limitato di individui può acquisire automaticamente la cittadinanza in una determinata nazione. Una volta introdotta l’idea della scarsità, ci troviamo di fronte al dilemma dell’allocazione o del confine: in altre parole, come determiniamo se una persona deve essere inclusa nel cerchio dei membri o lasciata fuori dai suoi parametri? Entrambi i principi risolvono questo dilemma in maniera simile: basandosi sul trasferimento del diritto al diritto di nascita. La distinzione tra di essi sta nel fattore di collegamento utilizzato per demarcare i confini di appartenenza di una rispettiva nazione: ius soli si basa sul luogo di nascita; ius sanguinis sulla discendenza.
Alanis Obomsawin of the Abenaki tribe
Quando si tagliera’ l’ultimo albero, si peschera’ l’ultimo pesce, si inquinera’ l’ultimo fiume; quando respirare l’aria sara’ nocivo, realizzeremo, troppo tardi, che la ricchezza non sta nei conti in banca e che non si puo’ mangiare il denaro.
Michael Burawoy: “Facing an Unequal World”
Forti tensioni saranno inevitabili se la forza lavoro viene scambiata senza protezione dagli infortuni o dalle malattie, dalla disoccupazione, dalla sovraoccupazione o dai salari inferiori al minimo sindacale. In tali circostanze, il lavoro che puo’ essere ricavato declina rapidamente e si avvia a diventare inutile. Parimenti, quando la terra, o piu’ in generale, la natura e’ sottoposta a mercificazione, allora essa non può più sostenere le necessità fondamentali della vita umana. Infine, quando il denaro viene usato per ottenere altro denaro, ad esempio attraverso la speculazione monetaria, il suo valore diventa talmente incerto che non può più essere adoperato come mezzo di scambio, facendo fallire le imprese e generando le crisi economiche.