Il paradosso del Reddito Universale di Cittadinanza, cioè un UBI, che esso è fattibile dove non è realmente richiesto e necessario; e dove è necessario, non è fattibile – ci ricorda che dove un UBI è fattibile e non richiesto, potrebbe esserci una buona ragione per non avere affatto un UBI.
Ciò che conta è se un reddito di base può influenzare positivamente le dinamiche politiche della ridistribuzione e se la sua introduzione può portare a migliori risultati sul benessere sociale. se la risposta è “sì”, la politica introduce un ulteriore livello di complessità che potrebbe rendere impossibile un migliore UBI. Solo i disoccupati e quelli in condizioni di lavoro precario sembrano emergere come il collegio elettorale più stabile per un’idea dell’UBI e rappresentano una minoranza tra gli elettori. Attraverso partiti politici, l’ideologia programmatica di sinistra e le piattaforme ecologiche supportano l’idea UBI. Mentre i partiti di sinistra e verdi sono storicamente la forza trainante per spingere l’UBI all’ordine del giorno, nell’attuale processo politico intorno all’UBI, i partiti di destra sono i più influenti. Di conseguenza, osserviamo in diversi contesti e paesi che le proposte UBI diventano conservative piuttosto che rivoluzionarie per essere gradite al centro politico: un livello modesto di supporto, collegamenti alle condizionalità e ai requisiti di attivazione dello stato sociale esistente, requisiti di cittadinanza e così via. Nel contesto politico altamente frammentato di oggi, l’UBI è pronto a essere sempre più utilizzato per campagne propagandistiche e politiche con scarso impegno, con il risultato di una proliferazione di progetti pilota e schemi presentati come un UBI, ma che si discostanp sostanzialmente da esso.
Il rischio in un simile contesto è che un UBI venga utilizzato per acquistare voti e alimentare la politica di acquisto dei voti a spese continue dei beni pubblici. Per valutare la fattibilità politica di un UBI, i consulenti politici possono considerare gli elementi principali. Innanzitutto, è essenziale avere una buona valutazione delle conseguenze economiche di varie proposte dell’UBI (compresa la tassazione) e dei loro probabili effetti sulla povertà e sulla disuguaglianza. In secondo luogo, è importante sapere quanto il pubblico comprenda le proposte e quale sia l’atteggiamento nei confronti delle varie forme di UBI.
Infine, è necessario comprendere le ideologie dei principali partiti e gruppi politici e raccogliere quante più informazioni possibili sugli argomenti principali a favore e contro l’UBI da utilizzare per motivare questi finanziatori. Le istituzioni politiche determinano la misura in cui adottare una politica per qualsiasi UBI tecnicamente valido. Il problema di economia politica dell’UBI è lo stesso di qualsiasi altra “riforma”: comprendere gli ostacoli che impediscono alle istituzioni politiche di consentire politiche tecnicamente valide da perseguire e, sulla base di questa comprensione, fornire idee ai leader della riforma su come superare questi ostacoli. Anche se l’UBI come strumento politico rimane ampiamente al di fuori dell’azione sociale praticabile sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, è probabile che la sua presenza nel dibattito abbia effetti collaterali positivi, anche nell’aumentare l’attenzione sull’inclusione e nel non lasciare indietro nessuno nei programmi di protezione sociale esistenti. Gli analisti politici devono stare attenti a prevenire proposte di trasferimenti di denaro per occupare lo spazio del dibattito a spese della costruzione delle istituzioni necessarie per far crescere le economie.
Categoria: Provocazioni
Le migrazioni: paradossi e riflessioni sulle attuali politiche e azioni – di Gianni Belletti, responsabile Comunità Emmaus Ferrara
La narrazione dei fenomeni migratori – spesso distorta in base a esigenze politiche di amministratori e leader di partito – ci presenta una fotografia che non è coerente con la realtà. A mio parere è fondamentale cercare di riportare ai fatti concreti e reali la visione che viene suggerita e diffusa da gran parte dei mezzi di comunicazione (giornali, radio, tv e internet), per poter elaborare e realizzare politiche e azioni adeguate.Dobbiamo quindi soffermarci su almeno tre dimensioni che sono al limite del paradosso.
La prima è che noi, cittadini appartenenti ai paesi più ricchi, viviamo in una società “ignara”: come i pesci non s’accorgono dell’acqua nella quale stanno nuotando, noi non ci accorgiamo di vivere in un mondo di ‘apartheid’, dove i quattro quinti della popolazione mondiale non possono liberamente muoversi tra nazioni come il restante quinto.
Nel quinto rientrano tutti i cittadini dei paesi più ricchi, sostanzialmente dell’Unione Europea, nord America, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, e tutti i cittadini abbienti di tutti gli altri paesi che possono comprare gli accessi ai paesi più ricchi.
Viviamo quindi in una dimensione in cui viene negata la libertà di movimento – un sistema di confini chiusi che assomiglia molto a quello feudale del Medioevo – come invece viene sancita dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, all’articolo 13 : “1.Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni stato. 2.Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”.
Quelle donne e quegli uomini che scrissero questo testo non potevano rimuovere la vergogna del ricordo della nave St. Louis che, salpata dal nord della Germania nel 1938 carica di profughi ebrei, si è vista rifiutare l’approdo e lo sbarco in Canada, quindi ha dovuto fare ritorno al luogo di partenza e consegnare la maggior parte di quei viaggiatori al destino dei campi di concentramento e dello sterminio nazista.
La seconda dimensione al limite del paradosso è che oggi l’unico modo che un migrante ha per restare legale nel nostro territorio, è di fare domanda di asilo politico, come rifugiato politico.
Il paradosso sta nel fatto che le regole che gestiscono questi accessi sono state pensate con la Convenzione di Ginevra nel 1951, di fatto adottate nel 1967 e comunque non firmate da tutti i paesi, in un contesto particolare in cui si voleva sostanzialmente tutelare chi fuggiva dal blocco sovietico e riparare in occidente. Un sistema creato per non durare che pochi anni, è diventato quindi la base per una gestione globale dei rifugiati; infatti sia la Convenzione di Ginevra che UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) dovevano esaurire la loro funzione con la fine del 1953.
Ecco che oggi gli Stati devono adeguare i propri ingressi con regole fuori luogo e fuori tempo: per evitare che un potenziale richiedente asilo metta piede nel territorio nazionale, si dichiarano porti e aeroporti zone extraterritoriali, si impongono multe salatissime alle compagnie aeree se involontariamente trasportano clandestini, si dichiarano zone extraterritoriali possedimenti lontani dalla madre patria (Isola Christmas in Australia, per esempio), si fanno accordi con i paesi confinanti per rinforzare i muri. Basta pensare alla Spagna, con le enclave di Ceuta e Melilla in Marocco, per cui dei tre muri oggi esistenti, il più interno, in territorio spagnolo, è “umanitario” e senza filo spinato, invece ben presente negli altri due muri in territorio marocchino.
Il terzo paradosso è che, sempre di più, facciamo gestire la permanenza dei richiedenti asilo a realtà private nate con la finalità del ‘business’. Non dimentichiamo che se le stime dell’Interpol parlano di 5-6 miliardi di dollari all’anno l’affare dei trafficanti di uomini, è di 29-30 miliardi l’affare della gestione della sicurezza generata dalla pressione dei migranti. Sempre l’Interpol calcola che il 90% dei migranti entrati nel paese illegalmente, lo fanno attraverso reti criminali. A questo riguardo non è un caso se in Italia, da un sistema gestito prevalentemente dagli SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), oggi SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), sostenuto prevalentemente da realtà della società civile e senza scopo di lucro, la parte “nobile” dell’inclusione e della tentata accoglienza, si stia passando sempre di più a una gestione eccezionale dei CAS (centri di accoglienza straordinaria), intorno a cui si è sviluppato il ‘mercato dell’accoglienza’. Si è arrivati quindi a capovolgere il sistema che oggi occupa l’80% delle risorse nei CAS, per la gestione straordinaria, con affidamenti sempre più in proroga, sempre più opachi, ma soprattutto senza alcuna finalità di inclusione. Sono 2,7 i miliardi di euro spesi per l’accoglienza nel 2018.
Alla luce di questi elementi e osservazioni ritengo utile riportare almeno quattro considerazioni della Banca Mondiale.
La prima: per ridurre la povertà nel mondo e per ridurre le disuguaglianze sociali, lo strumento principale è eliminare le restrizioni alle frontiere, generando un beneficio svariate volte più alto di quello derivante dalla libera circolazione delle merci e dei capitali. Eliminare le restrizioni nelle migrazioni sud-nord permetterebbe un aumento globale del PIL di 706 miliardi di dollari per il 2030.
La seconda: è sostanzialmente vano cercare di contro arrestare le tre principali forze che spingono le migrazioni:
1. la differenza di reddito: tra il 2013 e il 2017 il reddito medio individuale annuo dei 20 paesi più ricchi (Argentina, Australia, Bahrein, Canada, Francia, Germania, Kuwait, Hong Kong, Cina, Italia, Lussemburgo, Oman, Polonia, Portogallo, Qatar, Arabia Saudita, Singapore, Spagna, Emirati Arabi, Regno Unito, Stati Uniti) è stato di US$ 43.083, contro i US$ 795 dei venti paesi più poveri, con un rapporto di 54:1.
2. la spinta demografica: nel 2030 per ogni persona giovane (15-24 anni) ce ne saranno 3 con più di 65 anni in paesi come l’Italia, il Giappone e la Germania. A rovescio, in Nigeria ci saranno 7 giovani ogni ultrasessantacinquenne, 9 in Uganda, 5 in Etiopia, 6 in Kenia. Questo farà si che , agli standard attuali del lavoro, in Italia mancheranno 3 milioni di lavoratori, in Germania 5, in Giappone 6, in Cina 34; ce ne saranno in eccesso oltre 500 milioni nei venti paesi più poveri, 129 in India, 34 in Pakistan, 44 in Nigeria.
3. la crisi climatica che con l’innalzamento delle acque dei mari, la riduzione dei raccolti e la riduzione delle fonti di acqua obbliga le persone a spostarsi.
La terza considerazione: favorire le migrazioni creerebbe una situazione vincente sia per il migrante che per il paese che accoglie. Il migrante spenderebbe meno nel viaggio e farebbe un viaggio più sicuro, mentre il paese che riceve permetterebbe al migrante di tornare a proprio piacimento nel suo paese (facilitando la cosiddetta benefica “migrazione circolare”) e permettendo al migrante di partecipare al PIL del paese ricevente, per evitare di condurre una vita nel sommerso.
La quarta: se la percentuale di migranti a livello mondiale è aumentata dal 2000 al 2018 dl 2,8% al 3,5%, nei venti paesi più ricchi siamo passati dal 8.8% al 12,6%. In un sondaggio della primavera del 2019 condotto nei paesi dell’Unione Europea, il 44% circa degli intervistati ha dichiarato di ritenere che l’immigrazione è il tema più critico che deve affrontare l’Unione Europea, una percentuale più alta di coloro che vedono nella crisi climatica la principale preoccupazione. Con una popolazione di oltre 500 milioni , come è possibile percepire l’ingresso di 20 milioni di persone in 20 anni come una preoccupazione?
Di fronte all’autorevolezza di chi esprime queste osservazioni non possono che apparire inappropriate alcuni stralci del “Contratto di Governo del cambiamento“ siglato da M5S e Lega nel maggio 2018:
“La questione migratoria attuale risulta insostenibile per l’Italia, visti i costi da sopportare e il business connesso, alimentato da fondi pubblici nazionali, spesso gestiti con poca trasparenza e permeabili alle infiltrazioni della criminalità organizzata”.
Si sopprime quindi la protezione umanitaria, aumentando di 80.000 persone circa i dinieghi , coloro a cui è negato l’asilo politico, che passano dal 63 al 80%( in un contesto in cui le domande si erano già ridotte quasi della metà, da 134.475 del giugno del 2018 alle 63.380 del giugno del 2019) . Aumentano così gli irregolari che sono stimati,ad oggi , intorno ai 680.000.
Si legge ancora nel Contratto: “Ad oggi sarebbero circa 500.000 i migranti irregolari presenti sul nostro territorio, e pertanto una seria ed efficace politica dei rimpatri risulta indifferibile e prioritaria”.
Il numero degli irregolari risulta in costante crescita dal 2013. I rimpatri sono gestiti dai CPR (Centri per il Rimpatrio) che hanno una disponibilità di 1085 posti. La media annuale dei rimpatri è di 5600. Di questo passo occorrerebbero 100 anni e 3,5 miliardi di euro.
Abbiamo quindi bisogno di favorire un dibattito diverso riguardo le migrazioni per arrivare ad interpretare in maniera corretta un fenomeno importante per le nostre società, senza rischiare di mettere in pratica delle politiche non adeguate, di sperperare risorse inutili, di alimentare sentimenti di esclusione, di rifiuto, di inganno e di odio.
Fonti:
Arbogast Lidie : “Migration Detention in the European Union: A Thriving Business”, 2016 Migreurop
Betts Collier: “Refuge: Trasforming a Broken Refugee System” 2017
Carens Joseph: “The Etics of Immigration” 2013
Jones Reece: “Violent Borders” 2017
Openpolis/Actionaid: “La sicurezza dell’esclusione” 2019
Pritchett Lant: “Let their People Come” 2006
World Bank: “ Moving for Prosperity “ 2018
World Bank: “Leveraging Economic Migration for Development” 2019
Gianni Belletti
Comunità Emmaus Ferrara
Wendy Brown : “Undoing The Demos”
Il neoliberismo, ho discusso in questo libro, è meglio inteso non semplicemente come una politica economica, ma come una razionalità di governo che diffonde i valori e le metriche di mercato in ogni ambito della vita e costruisce l’essere umano esclusivamente come homo oeconomicus. Pertanto, il neoliberismo non si limita a privatizzare – si rivolge al mercato della produzione e del consumo individuali – ciò che precedentemente era sostenuto e valutato pubblicamente. Piuttosto, formula tutto, ovunque, in termini di investimento e apprezzamento del capitale, compresi e in particolare gli esseri umani stessi. Quattro effetti correlati di questa razionalità riguardano l’istruzione superiore pubblica nelle arti liberali.
In primo luogo, i beni pubblici di qualsiasi tipo sono sempre più difficili da discutere o proteggere. Le metriche di mercato che delineano ogni dimensione della condotta umana e delle istituzioni rendono ogni giorno più difficile spiegare perché università, biblioteche, parchi e riserve naturali, servizi cittadini e scuole elementari, persino strade e marciapiedi, siano o debbano essere accessibili e forniti al pubblico. Perché la gestione pubblica dovrebbe finanziarli e amministrarli? Perché tutti dovrebbero avere libero accesso ad essi? Perché i loro costi non dovrebbero essere sostenuti solo da coloro che li “consumano”? È già un sintomo del valore e del lessico in via di estinzione per le cose pubbliche che tali questioni oggi vengano generalmente convertite in un’altra, vale a dire il ruolo del governo rispetto al settore privato per la fornitura di beni e servizi. In questa conversione, il governo non è identificato con il pubblico, ma solo come attore di mercato alternativo. I cittadini, nel frattempo, sono rappresentati come investitori o consumatori, non come membri di un sistema democratico che condividono potere e determinati beni, spazi ed esperienze comuni.
In secondo luogo, la stessa democrazia è stata radicalmente trasformata dalla diffusione della razionalità neoliberista in ogni sfera, compresi politica e diritto. Pertanto, significati distintamente politici di “uguaglianza”, “autonomia” e “libertà” stanno cedendo il passo a valenze economiche di questi termini e il valore distintivo della sovranità popolare si sta ritirando come governo attraverso l’esperienza e le metriche di mercato e migliori pratiche sostituiscono le contestazioni delimitate dalla giustizia su chi siamo, cosa dovremmo essere o diventare, cosa dovremmo o non dovremmo fare come popolo. Le democrazie sono concepite per richiedere capitale umano tecnicamente qualificato, non partecipanti istruiti alla vita pubblica e al dominio comune.
In terzo luogo, i soggetti, compresi i cittadini, sono configurati dalle metriche di mercato del nostro tempo come capitale umano auto-investente. Il capitale umano non è guidato dai suoi interessi, come lo era l’homo oeconomicus di un tempo. Né il soggetto liberale classico è libero di fare la propria vita e scegliere i suoi valori a volontà. Piuttosto, il capitale umano è costretto ad autoinvestire in modi che contribuiscono al suo apprezzamento o almeno impediscono il suo deprezzamento; ciò include la misurazione di input come l’istruzione, la previsione e l’adattamento ai mutevoli mercati delle vocazioni, dell’edilizia abitativa, della salute e della pensione, e l’organizzazione delle sue pratiche di appuntamenti, accoppiamento, creatività e tempo libero in modi che migliorano il valore. Il capitale umano non è chiaramente interessato all’acquisizione delle conoscenze e dell’esperienza necessarie per una cittadinanza democratica intelligente.
Quarto, conoscenza, pensiero e formazione sono apprezzati e desiderati quasi esclusivamente per il loro contributo alla valorizzazione del capitale.
Ciò non si riduce solamente al desiderio di conoscenze e abilità tecniche. Molte professioni oggi – dalla legge all’ingegneria alla medicina – richiedono capacità analitiche, capacità comunicative, multilinguismo, creatività artistica, inventiva, persino capacità di lettura ravvicinata. Tuttavia, la conoscenza non è richiesta a fini diversi dal rafforzamento del capitale, sia che il capitale sia umano, aziendale o finanziario. Non ha lo scopo di sviluppare le capacità dei cittadini, sostenere la cultura, conoscere il mondo o immaginare e realizzare diversi modi di vivere in comune. Piuttosto, si cerca un “ROI positivo” (return on investment = utile sul capitale investito) una delle principali metriche che l’amministrazione Obama propone di utilizzare come valutazione nei college per i potenziali consumatori dell’istruzione superiore.
Srecko Horvat, Alfie Bown : “Advancing Conversations: Srecko Horvat – Subversion! (English Edition)”
Dovremmo dire che per sovvertire qualcosa, è necessario capirlo. Per sovvertire la Macchina o la Rete, è necessario entrarci dentro. Se non siamo in grado di capire cosa sta succedendo oggi, non saremo in grado di sovvertire o cambiare nulla al riguardo. Quindi l’unico modo per cambiare qualcosa – e questa è la ragione per cui la filosofia è più importante che mai: perché ci dà la possibilità di capire – è capire il mondo che ci circonda, il futuro che è già qui. E capendo che possiamo, forse, cambiarlo. Allo stesso tempo, anche se sembra paradossale, quando sei nel mezzo di un processo di cambiamento, sei anche in grado di capire meglio. Ed è per questo che credo che filosofia e prassi debbano andare insieme. Con l’atto stesso di camminare stiamo creando nuovi percorsi.
Mladen Miljanović : “The Didactic Wall”
Louise Haagh : “The Case for Universal Basic Income (English Edition)”
La domanda non è se gli Stati siano in grado o disposti a prendere provvedimenti verso il reddito di base, ma se la fattibilità degli Stati possa dipendere da esso. Dobbiamo porre la classica domanda di scienze politiche: chi governa? La risposta è che governano gli agenti che generano e supportano la sicurezza nella società. Gli stati sono pronti a cedere il potere di proteggere i nuovi governatori di denaro parallelo? O gli Stati useranno i loro poteri regolatori per cercare un nuovo accordo per la società civile, consolidando la proprietà pubblica e le imposte da nuove fonti, come ha suggerito l’FMI? Siamo contenti che un ambiente di politica sociale ostile renda razionale per gruppi sempre più grandi nella società cercare sicurezza nelle strutture informali? Il modo in cui il Bitcoin è diventato una valuta di rifugiati mostra come la reale opportunità di sicurezza a livello locale sia una sfida globale per gli stati. In effetti, gli stati contemporanei hanno interiorizzato i loro vincoli a tal punto da diventare incapaci e non disposti a immaginare lo sviluppo.
Louise Haagh : “The Case for Universal Basic Income (English Edition)”
Una società stabile si basa su un’interazione positiva tra diverse economie stabili, nella produzione, nell’assicurazione sociale e nella sicurezza del reddito, delle abitazioni, dei servizi e del tempo umano. La destabilizzazione di una parte del sistema influisce sull’intero. Inoltre, pensare al reddito di base insieme ad altri progetti democratici è di particolare importanza oggi, dati i rischi moderni legati all’esclusione progressiva dalla società, come discusso nei capitoli precedenti. Il sociologo tedesco Ralf Dahrendorf ha delineato in modo appropriato l’onnipresente carattere del rischio sistemico di mercato quando negli anni ’90 ha ripreso un termine – anomia – che Durkheim cento anni prima aveva usato per riferirsi al modo in cui i processi di concorrenza collegati alla modernità generavano vulnerabilità nettamente nuove, come la perenne battaglia (“appetito insaziabile”) separa il sé dai legami sociali e dalla realtà umana. Ad esempio, una manifestazione della perdita di cure in una moderna economia della concorrenza è il numero maggiore e crescente di persone anziane che vivono da sole. La perdita di collocazione sociale è anche esemplificata dai vasti movimenti moderni della migrazione economica, sebbene un aumento dei senzatetto e la dipendenza dalle organizzazioni benefiche alimentari suggeriscano che le esistenze nomadi siano collegate anche alle strutture economiche locali. Come esempio del [carattere cooperativo del] problema della perdita di controllo degli individui nella modernità, il filosofo David James ha attinto alle idee del tempo di Fichte come una questione politica per suggerire che il capitalismo può essere visto come ingiusto a causa del modo in cui divide le pressioni dell’intensità di lavoro in modo diseguale. Possiamo estendere questo concetto per affermare che il capitalismo moderno è ingiusto perché divide in modo diseguale la stabilità. Nei paesi avanzati, la generazione giovane è quella che ha subito più danni in seguito all’abbandono dello sviluppo pianificato e condiviso. L’autore del rapporto completo del Credit Suisse sulla disuguaglianza di ricchezza globale, nota “Ci aspettiamo che solo una minoranza di grandi realizzatori e quelli in settori ad alta domanda come la tecnologia o la finanza superino efficacemente lo”svantaggio del millennio””. Nell’attuale modello di sostegno al reddito, il raggiungimento della pensione può essere la prima occasione in cui gli individui si sentono sicuri – e anche questo per molti nelle nazioni ricche non è più vero, dato il crescente fenomeno del debito cumulativo a vita. In questo contesto, sebbene il reddito di base non risolva la struttura che crea debito nei confronti delle economie moderne, esso mette a fuoco il problema della personificazione del rischio finanziario e costituisce un punto cruciale per iniziare ad affrontarlo, chiedendo anche maggiori modifiche normative necessarie per convertire le necessità di vita in proprietà non ipotecabili. Probabilmente, generare le basi per una società civile stabile e futura è la più grande sfida generazionale del nostro tempo. Il progetto del dopoguerra si è formato attorno all’idea di indipendenza e giustizia intergenerazionale: l’idea che lo status dei genitori non dovrebbe influenzare le possibilità di una nuova generazione. Al contrario, il modo in cui i giovani sono diventati sempre più dipendenti dai genitori per l’alloggio, il risparmio e l’eredità rappresenta oggi la diminuzione della sfera pubblica.
Louise Haagh : “The Case for Universal Basic Income (English Edition)”
La disgiunzione tra l’ambizione degli OSS e il disempowerment degli Stati evidenzia l’importanza e il potenziale di stabilire il reddito di base all’interno di un’agenda costruttiva più ampia. Gli Stati ossessionati dai risparmi a breve termine sui programmi sociali stanno cedendo il potere di costituire il cittadino, mettendo così a rischio le strutture legali in futuro. A dimostrazione di ciò, l’interesse per il reddito di base che esiste oggi è molto più generale di quanto suggerito dalla sperimentazione cauta e parziale da parte dei governi. In tutto il mondo sono emerse campagne di crowdfunding, molte guidate da giovani attivisti, alcune da ONG e gruppi di riflessione, e altre da società. Comune a tutte queste è una frustrazione condivisa per la mancanza di azione pubblica di fronte al collasso delle soluzioni di integrazione sociale guidate dal mercato. I motivi alla base della difesa sono diversi. Nel caso di un gruppo di attivisti tedeschi che distribuiscono “redditi di base” annuali al valore di € 12.000 all’anno da un fondo di oltre € 1,5 milioni raccolto dal 2014, l’intenzione è dimostrare che il principio della condivisione funziona per generare fiducia sociale laddove gli Stati hanno fallito, poiché le politiche ostili al reddito di sicurezza ne hanno ridotto la diffusione negli ultimi dieci anni. Alla domanda sui problemi inerenti al crowdfunding – ad esempio, tali sistemi non coprono tutti, solo quelli che aderiscono, e non sono affidabili come sistemi finanziari, in quanto non hanno una banca centrale che li sostenga – la risposta è che i sistemi pubblici hanno avuto una possibilità e non sono stati all’altezza. Altre iniziative alternative per finanziare un reddito di base provengono dal mondo aziendale, in particolare dalla Silicon Valley. Un gruppo imprenditoriale fortemente coinvolto nella blockchain ha accantonato “da qualche parte tra 200 e 300 milioni di dollari” per cause filantropiche e finanziare un esperimento di reddito di base su larga scala è un contendente primario. Alla domanda se tali sistemi non sono inclini a essere catturati da criminali e intrinsecamente instabili, un imprenditore che punta alla sua candidatura per governare l’ultima criptovaluta, EOS, sulla promozione del finanziamento del reddito di base tramite blockchain, ha sottolineato che molte delle blockchain esistenti sono già “di dimensioni statali”. Spiegando perché favorisce il reddito di base universale come obiettivo filantropico, ha osservato: “Sono originario dell’India e guardo al caos che il governo indiano sta facendo nella sicurezza sociale”. Cosa ci dicono questi esempi? Rivelano che la volontà e il denaro per finanziare esperimenti di reddito di base su larga scala ci sono, ma al di fuori del quadro degli Stati. I cinici hanno giustamente sottolineato che è ironico che le aziende che potrebbero pagare le tasse per finanziare un reddito di base siano disposte a farlo su base filantropica. Tuttavia, sono gli stati che devono stabilire il quadro normativo e avviare la tassa.
Louise Haagh : “The Case for Universal Basic Income (English Edition)”
Il reddito di base è importante per rimodellare le regole. Processi che approfondiscono la disuguaglianza e infine indeboliscono lo stato e la società spesso emergono inizialmente attraverso cambiamenti istituzionali alla struttura dell’economia produttiva. Come ha suggerito Piketty nel suo lavoro sul capitalismo, una suddivisione delle regole (distinta dai cambiamenti nell’istruzione o nella tecnologia) è responsabile del modo in cui, fin dagli anni ’80, i “super manager” sono stati in grado di stabilire il proprio stipendio. Per illustrare ulteriormente, la quota globale di lavoratori nei sindacati, che aiutano a far rispettare gli standard legali, è diminuita drasticamente: in Germania, dal 35 al 18%; in Gran Bretagna dal 50 al 26%; negli Stati Uniti, dal 22 all’11%; e, in Messico, dal 24 al 14%, tra il 1980 e il 2013. In Belgio e negli stati nordici, la caduta è stata molto inferiore, sebbene in Danimarca e Svezia vi sia stata una riduzione da circa il 78 al 67% in questo periodo. La perdita delle regole è un processo consecutivo. L’indebolimento del potere regolamentare degli attori sociali e degli Stati ha costretto i governi a mettersi al passo con il settore privato in una corsa che non può vincere. Nel tentativo di recuperare il ritardo, gli stati finiscono per generare processi di concorrenza all’interno della fornitura pubblica che non hanno fine positiva per coloro che rimangono indietro. Prendendo come esempio l’istruzione, un crescente differenziale nelle risorse pubbliche e private, insieme all’ideologia della concorrenza, ha spinto gli Stati a generare concorrenza all’interno delle istituzioni del settore pubblico nel tentativo di adeguarsi al mercato. Ciò è inutile perché la fornitura pubblica deve coprire i rischi universali, mentre il settore privato può selezionare.
Reece Jones : “Violent Borders: Refugees and the Right to Move (English Edition)”
La violenza ambientale delle frontiere richiede regolamenti globali che limitino le attività che producono danni e comportano alti costi. Per rendere possibile tutto ciò, dobbiamo ripensare all’idea che gli stati hanno il diritto esclusivo di prendere decisioni ambientali nei loro territori. L’ambiente non rispetta i confini e neanche
gli sforzi umani per usare e proteggere la terra dovrebbero farlo. La struttura e lo scopo delle Nazioni Unite rendono difficile il raggiungimento di questo obiettivo
attraverso l’infrastruttura istituzionale internazionale esistente. Però, è anche difficile immaginare come un accordo globale, che richiede almeno due parti – possa essere raggiunto senza la partecipazione di Stati e dell’ONU. Forse è necessario creare una nuova infrastruttura istituzionale dedicata all’ambiente che abbia la capacità di annullare la sovranità dello stato su questioni che riguardano l’ambiente globale. Inoltre oltre limiti rigorosi sull’estrazione e l’inquinamento delle risorse nocive, alcuni dei fondi raccolti con le tasse e le multe su queste pratiche dovrebbero essere utilizzati per riabilitare ambienti danneggiati dall’attività umana, in particolare quelli che sfidano il normale modello di responsabilità basato sullo stato. Ad esempio, l’inquinamento plastico galleggiante nell’Oceano Pacifico, spesso soprannominato il Grande Pacific Garbage Patch, è il risultato delle attività degli umani in tutte le aree che circondano l’Oceano Pacifico, così come un enorme tsunami.
Tuttavia, i detriti si accumulano nel vortice del Pacifico, che è al di fuori della
giurisdizione di ogni stato sovrano. Grazie alla sua posizione remota, esso è
causato da tutti ma sotto la responsabilità di nessuno. Futuri accordi ambientali globali devono affrontare questi problemi sovranazionali allineandoli al processo decisionale politico per quanto riguarda l’ambiente con la scala dei problemi ambientali. La violenza economica e ambientale delle risorse recintate si estende all’idea di proprietà privata. Proprio come l’idea di stato e nazione appare spesso naturale ed eterna, è difficile pensare al di fuori dello spazio limitato della proprietà. Tuttavia, i diritti dei detentori di proprietà a limitare il movimento sulla propria terra, il controllo esclusivo delle risorse e lo sfruttamento delle loro proprietà hanno conseguenze simili a quelle dell’idea di controllo statale sovrano sul territorio. Di conseguenza, un vero riorientamento progressivo della politica globale includerebbe anche cambiamenti alla nozione di proprietà privata. Certamente deve essere un ripensamento del diritto dei detentori di proprietà di sfruttarne le risorse senza limiti. Potrebbe significare che i diritti di proprietà non siano indefiniti ma tornino ai beni comuni dopo un periodo di tempo o dopo la morte del proprietario. Cambiando il modo in cui è regolamentato l’uso del territorio, l’uso e l’abuso della terra può essere riformato. Questi principi non potrebbero essere messi in atto nello spazio di una notte. L’infrastruttura globale della sicurezza delle frontiere è vasta ed è sostenuta dai forti interessi economici degli appaltatori militari e governativi nel settore della sicurezza dei confini.
Queste società hanno un interesse acquisito nel mantenere lo status quo dei confini militarizzati e inaspriti che continuano a colmare i loro forzieri. Altre potenti società estraggono risorse basate sull’idea di proprietà privata e utilizzano il lavoro differenziale e i regolamenti ambientali tra i confini per creare le condizioni più favorevoli possibili per i loro affari. Tuttavia, un simile tipo di inerzia ha permeato la disuguaglianza economica e politica del passato. I sistemi erano trincerati e supportati da un sistema economico che perpetuava la loro esistenza, ma alla fine sono stati annullati. Il loro crollo è iniziato attraverso gli atti di individui che hanno sfidato l’ordine stabilito e hanno dato visibilità alla disuguaglianza di fondo.