La flessibilità e la mobilità imposti sulla forza lavoro biopolitica insieme con le pressioni migratorie creano una straordinaria dinamica di deterritorializzazione. Quando parliamo della caduta dei confini e del nomadismo, dovrebbe essere chiaro che la caduta delle frontiere non determina il nomadismo ma al contrario il nomadismo rompe i confini e minaccia la stabilità territoriale del controllo capitalista. Il vecchio piano di sviluppo tipico del capitale industriale è riuscito a collegare tra loro l’urbanizzazione, l’industrializzazione e le formazioni degli stati, ma la produzione biopolitica rompe questo processo. Il capitale collettivo deve fronteggiare una moltitudine mobile e flessibile in espansione. Dal punto di vista di comando e di sfruttamento, cio’ può apparire soltanto caotico e disordinato. Il compito che deve assumersi il capitale è quindi la ricostruzione costante dei confini, la riterritorializzazione delle popolazioni lavoratrici, e la ricostruzione delle dimensioni fisse dello spazio sociale. Il Capitale deve perseguire, in altre parole, sempre nuove definizioni di gerarchie sociali localizzate per ricostruire i confini necessari per il suo ordine e il suo comando.