Se escludiamo la Cina – che ha distorto le cifre globali con la costruzione di centinaia di centrali a carbone negli anni 2000 – la quantità di capacità di generazione di energia provenienti da fonti rinnovabili ha superato quella da combustibili fossili nel 2009.
Questo è un chiaro segnale che l’intervento dello Stato nel mercato – attraverso incentivi finanziari per le fonti rinnovabili e gli obiettivi per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica – possono funzionare. Il problema è, in primo luogo, che la transizione guidata dal mercato è troppo lenta e troppo vulnerabile alle pressioni dei consumatori (che vogliono naturalmente energia a basso costo) e dai produttori di combustibili fossili.
In secondo luogo, poiche’ aumenta la pressione politica sui governi, l’energia si trasforma in geopolitica. La mossa della Germania contro l’energia nucleare ha avuto il costo di dare alla Russia il potere di tenere l’economia tedesca in ostaggio durante la crisi ucraina. Il passaggio dell’America al fracking – in aggiunta ai suoi impatti ambientali – ha alterato l’equilibrio globale del potere in modo così significativo che lnel giro di un anno il prezzo del petrolio saudita è crollato di oltre la metà. In rapporto alle tensioni geopolitiche crescenti le prospettive di un accordo alla COP (Conferenza delle Parti) a Parigi, nel dicembre 2015, non appaiono positive. Il clima dei Colloqui a queste conferenze rassomiglia sempre piu’ai trattati di pace che hanno aperto la strada alla Seconda Guerra Mondiale. Nel frattempo anche i radicali del movimento ambientalista sono confusi riguardo ai mercati. Greenpeace, per esempio, mette a confronto la Cina con l’Europa come segue: la Cina e’ determinata ad alimentare la crescita economica con il carbone ad emissioni potenziate, mentre la privatizzazione in Europa e Stati Uniti ha determinato il loro passaggio al gas, che è meno nocivo del carbone. Questa e’ considerata la prova che un mercato raggiunge risultati migliori con il carbone che con il controllo centralizzato. Tuttavia, per soddisfare gli obiettivi prefissati contro le emissioni critiche bisogna usare una forma di controllo centralizzato. Ai governi – a livello statale e regionale – sarà necessario prendere il controllo e, probabilmente, la proprietà, di tutti i grandi produttori di carbone. Poiché la rete di distribuzione dell’energia diventa ‘intelligente’, utilizzando la tecnologia per prevedere la fornitura in equilibrio con la domanda, ha senso che questa rete diventi una risorsa pubblica.
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