Nonostante questo disordine, è sempre la logica chiarissima di quella che ho chiamato la prima storia che prevale e continua a mietere vittime. Le recenti vittime della crisi finanziaria, certo, ma anche e soprattutto le vittime “comuni”, sacrificate sull’altare della crescita al cui servizio è dedicata la nostra vita. Tra queste vittime ci sono quelle lontane ma ce ne sono altre più vicine. Si pensi a coloro che sono annegati nel Mediterraneo, che hanno preferito una morte probabile alla vita che avrebbero condotto nel loro Paese, “arretrati nella corsa alla crescita”, e a coloro che, arrivati tra noi, sono perseguitati come “sans -papiers” (immigrati clandestini). Ma non è solo una questione di “altri”. La mobilitazione per la crescita colpisce i “nostri” lavoratori, sottoposti a intollerabili imperativi di produttività, come i disoccupati, bersagliati da politiche di attivazione e motivazione, chiamati a dimostrare che spendono il loro tempo in cerca di lavoro, costretti anche ad accettare qualsiasi tipo di ” lavoro”.
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