Si stima che nel 1976 la forza lavoro derivata dalla migrazione si sia espansa tra 1 e 2 milioni. Nel 1991, si riteneva che il 14% di tutti i residenti stranieri, ovvero circa 2,6 milioni di persone, nell’Europa occidentale fosse irregolare (Baldwin-Edwards e Schain 1994: 5).
Altre stime, più aggiornate, collocano la popolazione illegale totale tra 3 e 4 milioni di persone, con tra 400.000 e 500.000 che arrivano ogni anno (Jandl 2004). Almeno 200.000 stranieri irregolari sono impiegati o residenti in Francia, 650.000 in Germania, 600.000 in Italia, 300.000 in Spagna e 100.000 in Svizzera.
La crescente presenza di lavoratori stranieri irregolari e altri stranieri irregolari nell’Europa occidentale è stata tuttavia accelerata dalle iniziative degli Stati di accoglienza per regolare la nuova immigrazione dopo la svolta. Nonostante la minaccia sempre presente di sanzioni governative, i datori di lavoro privati erano spesso abbastanza pronti ad impiegare e sfruttare economicamente la manodopera straniera illegale (Vogel 2000: 393). Come sostiene in modo convincente Overbeek (1995: 31–2), la domanda ininterrotta di lavoro irregolare era, e continua ad essere, collegata alle pressioni concorrenziali internazionali che assediano incessantemente l’economia nazionale.
La domanda di lavoratori stranieri irregolari dopo la svolta è stata particolarmente robusta nei settori primario e terziario delle economie francese e svizzera e, successivamente, in Italia, Portogallo e Spagna.
In secondo luogo, c’è un supporto empirico alla conclusione che l’immigrazione illegale era ed è principalmente guidata dalla domanda e non dall’offerta (Ederveen et al. 2004: 48). In particolare, la crescita del numero di lavoratori illegali ha generalmente coinciso con l’espansione dell’economia informale nell’Europa occidentale. La crescita dell’economia sommersa, a sua volta, è legata agli effetti della globalizzazione e alla rigidità dei mercati del lavoro europei.