La Cina ha fatto molto per diventare una società di mercato. Gli osservatori della Cina sono incuriositi dall’assemblaggio di etichette e descrivono la Cina come un esempio del capitalismo esistente, con politiche favorevoli al mercato e istituzioni leniniste dell’economia politica post-Mao cinese. La Cina è stata in alternativa etichettata come “capitalismo di nomenclatura”, “capitalismo burocratico”, “capitalismo con caratteristiche cinesi”, “com-capitalismo”, “leninismo di mercato”, “capitalismo di stato” e “capitalismo mercantilista” per citarne solo alcuni (Baum e Shevchenko 1999: 333). Comunque si chiami la Cina post-1989, un punto è chiaro: dall’addio alla Rivoluzione alla neo illuminazione, e dallo smantellamento dell’agricoltura collettiva allo “sviluppo a tutti i costi”, la Cina ha abbracciato senza tante cerimonie il neoliberismo. Come ha acutamente sottolineato Wang Hui (2006), i tragici eventi del 1989 sono stati di fondamentale importanza per far rispettare una logica neoliberista in Cina. Quell’anno non fu solo caratterizzato dalla repressione della libertà: portò all’ordine del neoliberismo e ad una sorta di economia di mercato che è una soppressione della democrazia e della libertà. In tal modo, la Cina ha effettivamente salvato il capitalismo.