I leader europei sapevano anche che i guadagni politici promessi erano illusori. Sebbene ripetessero spesso il mantra dell’ “unione politica”, sapevano che non avrebbero rinunciato alle proprie entrate fiscali per fornire un aiuto significativo ad altre nazioni in difficoltà. Sapevano che il rischio di conflitti di interesse economici era reale. E i conflitti economici avrebbero creato conflitti politici.
Dal momento in cui la moneta unica è stata proposta nel 1969 fino alla sua introduzione nel 1999, sono tornate le convalide di questi avvertimenti. Ancora e ancora. Ma i rischi sono stati minimizzati e sono stati proposti punti di vista alternativi. Il difetto essenziale della moneta unica era elementare. Nel rinunciare alle valute nazionali, i membri della zona euro hanno perso importanti leve politiche. Se un paese membro entrasse in recessione, non avrebbe una valuta che potrebbe svalutare in modo che le sue imprese possano vendere all’estero a prezzi inferiori in dollari USA al fine di incrementare le esportazioni e l’occupazione. Il paese membro non avrebbe inoltre una banca centrale in grado di ridurre i tassi di interesse per incoraggiare la spesa interna e stimolare la crescita. Questo difetto di base crea gravi difficoltà non appena le economie dei paesi che condividono la valuta divergono l’una dall’altra. Se l’economia italiana è in difficoltà e l’economia tedesca sta funzionando, il tasso di interesse comune fissato dalla Banca centrale europea (BCE) sarà troppo alto per l’Italia e troppo basso per la Germania.