Per noi oggi, è ancora difficile immaginare una società futura nella quale il lavoro retribuito non è tutto nè il fine della nostra esistenza. Ma l’incapacità di immaginare un mondo in cui le cose siano diverse è prova solo di una povera immaginazione, non dell’impossibilità di cambiare.
Negli anni ’50 non potevamo concepire l’avvento dei frigoriferi, degli aspirapolvere e, soprattutto, delle lavatrici avrebbero aiutato le donne ad avere un posto di lavoro in numeri da record, eppure lo hanno fatto. Tuttavia, non è la tecnologia stessa che determina il corso della storia. Alla fine, siamo noi umani che decidiamo come modellare il nostro destino. Lo scenario di disuguaglianza radicale che sta prendendo forma negli Stati Uniti non è la nostra unica opzione. L’alternativa è che a un certo punto durante questo secolo, noi respingessimo il dogma secondo il quale devi lavorare per vivere. Più ricchi noi come società diventiamo, meno efficace sarà la distribuzione della prosperità nel mercato del lavoro.
Se vogliamo mantenere i benefici offerti dalla tecnologia, alla fine c’è solo una scelta, e questa è la ridistribuzione. Una massiccia ridistribuzione. Ridistribuzione del denaro (reddito di base), del tempo (una settimana lavorativa più corta), della tassazione (sul capitale invece che sul lavoro), e, naturalmente, dei robot. Già nel diciannovesimo secolo, Oscar Wilde non vedeva l’ora che tutti beneficiassero di macchine intelligenti che fossero “proprietà di tutti”.
Il progresso tecnologico può rendere una società più prospera in termini di aggregazione, ma non esiste una legge economica che dice che tutti ne trarranno beneficio.