Le teorie neo-marxiste della crisi sviluppate a Francoforte quattro decenni fa erano superiori alle altre teorie dell’epoca nel riconoscere la fragilità del capitalismo sociale. Ma hanno frainteso le sue cause, e quindi la direzione e la dinamica del cambiamento storico imminente. Il loro approccio escludeva la possibilità che il capitale, non il lavoro, annullasse la legittimità del capitalismo democratico che aveva preso forma nel “trentennio glorioso”.
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Oggi, i mezzi per domare le crisi di legittimazione generando illusioni di crescita sembrano essere stati esauriti. In particolare, la magia monetaria degli ultimi due decenni, prodotta con l’aiuto di un’industria finanziaria senza vincoli, potrebbe essere alla fine diventata troppo pericolosa perché i governi osino dedicare più tempo ad essa. A meno che non ci sia un altro miracolo di crescita, il capitalismo del futuro potrebbe doversi gestire senza la formula di pace del consumismo basato sul credito. L’ideale utopico dell’attuale gestione delle crisi è di completare, con mezzi politici, la depoliticizzazione già avanzata dell’economia; ancorato in stati-nazione riorganizzati sotto il controllo della diplomazia governativa e finanziaria internazionale, isolato dalla partecipazione democratica, con una popolazione che avrebbe imparato, in anni di rieducazione egemonica, a considerare gli esiti distributivi dei mercati liberi equi o almeno privi di alternative.