In effetti, le manovre imprenditoriali sorprendentemente creative che sono state intraprese per affrontare il regime delle quote sono evidenti come qualunque cosa nel fiuto per gli affari dei manager cinesi. I manager che sono cresciuti imparando ad affrontare il regime irrazionale di Mao Tse-tung hanno un vantaggio, sembra, nel trattare la politica commerciale statunitense. L’Esquel Corporation, oggi il più grande produttore mondiale di magliette di cotone, ha iniziato a Hong Kong alla fine degli anni Settanta, ma, incapace di ottenere una quota per vendere negli Stati Uniti, ha spostato la produzione nella Cina continentale. Quando gli Stati Uniti hanno ristretto le quote della maglietta cinese nei primi anni ’80, Esquel ha spostato la produzione in Malesia. Quando anche la quota malese divenne difficile da ottenere, Esquel si trasferì ancora una volta, questa volta in Sri Lanka. Il globe-hopping è continuato, con spostamenti in Mauritius e Maldive. Altre imprese cinesi hanno fatto lo stesso gioco, spedendo pelliccie di capre mongole alle piccole isole che avevano una quota extra di maglioni in cashmere. Un problema di questo sistema è che i paesi con quote spesso non avevano alcuna esperienza e pochi lavoratori, per cui le imprese furono costrette a spedire lavoratori cinesi a Mauritius e manager cinesi in Cambogia. I cinesi continuavano a produrre gli abiti, anche se i tempi di viaggio e la complessità delle operazioni erano notevolmente aumentati. L’immagine delle corporazioni di globe-trotting spesso presentate da attivisti antiglobalizzazione così come dai produttori tessili a Washington demonizza le aziende per la loro scarsa fedeltà, e soprattutto per le loro mosse fugaci alle posizioni di produzione più economiche e meno costose. Mentre questa storia “da corsa verso il basso” è effettivamente calzante, è importante notare che il globe-hopping che osserviamo nelle industrie tessili e di abbigliamento è anche il risultato delle politiche che sono state originate dagli interessi tessili. E’ stata la politica tanto quanto i mercati che hanno alimentato la gara alla base, anche se la politica altera il corso della gara. Come riferisce il Financial Times, l’industria dell’abbigliamento ha globalizzato in risposta alle barriere commerciali piuttosto che in risposta ai mercati aperti.