Le crisi sono, in effetti, non solo inevitabili ma anche necessarie, in quanto questo è l’unico modo per ristabilire l’equilibrio e per risolvere almeno temporaneamente le contraddizioni interne dovute all’accumulo di capitale. Le crisi sono, per così dire, i razionalizzatori irrazionali di un capitalismo sempre instabile. Durante una crisi, come quella in cui siamo ora, è sempre importante tenere presente questo fatto. Dobbiamo sempre chiederci: che cosa è razionalizzato e quali direzioni prendono le razionalizzazioni, in quanto queste definiscono non solo il nostro modo di uscire dalla crisi, ma il carattere futuro del capitalismo? Nei momenti di crisi ci sono sempre delle opzioni. Quale scegliere dipende criticamente dall’equilibrio delle forze di classe e dalle concezioni mentali su ciò che potrebbe essere possibile. Non c’era niente di più inevitabile nel New Deal di Roosevelt di quanto lo fosse la controrivoluzione Reagan-Thatcher dei primi anni Ottanta. Ma le possibilità non sono infinite. È compito dell’analisi scoprire ciò che potrebbe essere possibile e posizionarlo saldamente in relazione a quanto è probabile dato l’attuale stato delle relazioni di classe in tutto il mondo.
La perversità di una politica che ci riporta indietro nella trappola energia contro settore alimentare della Gran Bretagna del XVIII secolo non è niente di scioccante. Come è successo ? La teoria del picco di Hubbert risale al 1956, quando un geologo che lavorava per Shell Oil, M. King Hubbert, previde, sulla base di una formula che collegava tassi di nuove scoperte e tassi di sfruttamento, che la produzione petrolifera negli Stati Uniti avrebbe avuto un picco negli anni ’70 e poi una contrazione graduale. Egli perdette il suo lavoro a Shell ma le sue previsioni si sono rivelate corrette e dagli anni ’70 gli Stati Uniti sono sempre più dipendenti dal petrolio straniero, poiché le fonti nazionali hanno continuato a diminuire. Gli Stati Uniti ora importano annualmente circa 300 miliardi di dollari di petrolio, che rappresentano quasi un terzo di un deficit di commercio estero che deve essere coperto da prestiti dal resto del mondo a ben oltre 2 miliardi di dollari al giorno. La recente svolta all’etanolo ha combinato un tentativo di ridurre le vulnerabilità politiche ed economiche degli Stati Uniti a questa dipendenza estera con una deliziosa sovvenzione ad una potente lobby agroalimentare che domina il Senato americano molto democratico (dove i piccoli Stati rurali dispongono del 60% dei voti) e che da tempo è una delle lobby più potenti di Washington (l’elevato livello di sovvenzioni agricole negli Stati Uniti è stato uno dei problemi più controversi nei negoziati OMC con il resto del mondo). Il successivo aumento del prezzo dei cereali alimentari è stata una buona notizia per l’agroalimentare anche quando i Newyorkesi improvvisamente hanno visto il loro pane aumentare del 50 per cento. La conseguente esacerbazione della fame nel mondo non è uno scherzo. Come un critico della tesi di Hubbard ha osservato: “La ricarica di un serbatoio da 25 galloni di un SUV con puro etanolo richiede 450 chili di grano, abbastanza calorie per nutrire una persona per un anno. Sulle tendenze attuali (2008), il numero di persone cronicamente affamate potrebbe raddoppiare entro il 2025 a 1,2 miliardi.