Il punto della politica rivoluzionaria non è quello di proteggere l’ordine antico, ma di attaccare direttamente le relazioni di classe e le forme capitalistiche del potere statale. Le trasformazioni rivoluzionarie non possono essere realizzate senza cambiare minimamente le nostre idee, abbandonare le nostre credenze e pregiudizi, rinunciare a varie comodità e diritti quotidiani, sottoporci ad un nuovo regime quotidiano, cambiando i nostri ruoli sociali e politici, riassegnando i nostri diritti, doveri e responsabilità e alterare i nostri comportamenti per meglio adattarsi alle esigenze collettive e ad una volontà comune.
Il mondo intorno a noi – le nostre geografie – deve essere radicalmente modificato, così come le nostre relazioni sociali, il rapporto con la natura e tutte le altre sfere d’azione nel processo co-rivoluzionario. È comprensibile, in una certa misura, che molti preferiscano una politica di negazione a una politica di confronto attivo con tutto ciò. Sarebbe anche confortante pensare che tutto questo potesse essere compiuto pacificamente e volontariamente, che avremmo spogliato noi stessi, per così dire, di tutto ciò che ora ci impedisce di creare un ordine sociale piu’ solido ed equo. Ma sarebbe ingenuo immaginare che tutto questo si potrebbe realizzare senza nessuna lotta attiva né forme di violenza. Il capitalismo è entrato nel mondo, come disse una volta Marx, bagnato di sangue e di fuoco. Anche se potrebbe essere possibile fare un lavoro migliore agendo dall’interno piuttosto che entrando da fuori, le probabilità sono pesantemente contrarie a qualsiasi passaggio puramente pacifico verso la terra promessa.