Negli anni precedenti la crisi finanziaria globale, gli amministratori delegati delle banche facevano a gara come scolaretti per dimostrare che ‘il mio ritorno sul patrimonio netto è più grande del tuo’.

Il display è stato guidato da Josef Ackermann, amministratore delegato di Deutsche Bank dal 2002 e presidente dal 2006 al 2012, che ha annunciato un obiettivo del 25 per cento di ritorno sul capitale. Nel 2008, quando la crisi finanziaria globale e’ scoppiata intorno a lui, ha annunciato con orgoglio che questo obiettivo era stato raggiunto. Return on equity (ROE) è un rapporto di profitto a patrimonio netto , e ci sono due modi per aumentare un rapporto. E’ possibile aumentare il numeratore – il profitto – o è possibile ridurre il denominatore – il capitale azionario. La riduzione del patrimonio netto è più facile. ROE è una misura di redditività gravemente fuorviante. Per le aziende che non hanno un’ alta intensità di capitale – come quelle che si occupano della gestione delle risorse, o altre aziende di servizi professionali, quali i commercialisti – sono realizzabili alti ritorni sul capitale in quanto esse hanno un piccolo requisito patrimoniale. Le imprese ad alta intensità di capitale – nell’economia moderna sono principalmente banche, utilities e imprese di risorse – possono ottenere rendimenti elevati sul capitale solo attraverso estrema leva finanziaria, come ha fatto la Deutsche Bank.
Anche se la Deutsche Bank, che dispone di poco capitale, ha avuto il beneficio di garanzie statali sulle proprie passività, ha acquistato azioni proprie per ridurre la propria base di capitale. E qualunque rendimento del capitale proprio sia stato rivendicato dai responsabili finanziari della Deutsche Bank, i rendimenti per gli azionisti raccontano una storia diversa e più illuminante: il rendimento medio annuo totale sulle sue azioni (in dollari USA con reinvestimento dei dividendi) nel periodo da maggio 2002 a maggio 2012 (il mandato di Ackermann come amministratore delegato della banca) è stato di circa meno 2 per cento. ROE è una performance metrica inappropriata per qualsiasi azienda, ma soprattutto per una banca, ed è strano che il suo uso sia stato sostenuto da persone che hanno una particolare esperienza nella gestione finanziaria e del rischio.

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Nelle ultime discussioni sulle implicazioni di imporre più ampi requisiti di capitale alle banche, una cifra del 15 per cento è stata proposta e omologata come misura del costo degli asset finanziari propri del conglomerato delle banche. Se queste società riuscissero davvero a far ottenere tassi di ritorno del 15 per cento a beneficio dei loro azionisti, ci sarebbero lunghe code di investitori alla ricerca di questi rendimenti interessanti. In pratica, la maggior parte delle banche europee e alcune americane non sono in grado di raccogliere nessun capitale dagli investitori, e il nuovo capitale che è stato necessario per ripristinare i bilanci delle banche in seguito alle perdite del 2008 è stato principalmente fornito dai governi o dai clienti. I moderni conglomerati finanziari non sono motori che generano grandi profitti come le istituzioni che sopravvivono grazie alle sovvenzioni pubbliche. I conti delle principali banche sono lunghi e impenetrabili. Nessuno conosce realmente la redditività delle banche, di anno in anno, settore di attività per settore di attività, o in forma aggregata.
La proliferazione di complessità poco comprensibile nel settore finanziario e’ stata intenzionale: i prodotti complessi sono una fonte di profitto, e questi prodotti sarebbero stati meno gratificanti per i venditori se fossero stati maggiormente comprensibili agli acquirenti. Ma questa complessità finira’ per sopraffare la gestione delle istituzioni finanziarie, poiche’ i requisiti di supervisione aumentano più velocemente delle capacità dei dirigenti e delle autorità di regolamentazione preposte a tale vigilanza.

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