Noi sosteniamo che quando, tra questi diversi tipi di attori collettivi (nell’ecosistema), la distribuzione delle ricompense finanziarie determinate dal processo di innovazione riflette la distribuzione dei contributi al processo di innovazione, questo tende a ridurre le disuguaglianze.
Quando, tuttavia, alcuni attori sono in grado di raccogliere quote di ricompense finanziarie del processo di innovazione che sono sproporzionate rispetto ai loro contributi al processo, l’innovazione aumenta la disuguaglianza.
Quest’ultimo risultato si verifica quando certi attori sono in grado di posizionarsi in corrispondenza del punto – lungo la curva d’innovazione cumulativa – in cui l’impresa innovativa genera rendimenti finanziari; cioè, più vicino al mercato finale del prodotto o, in alcuni casi, nei pressi di un mercato finanziario, come il mercato azionario. Questi attori privilegiati poi adducono argomentazioni ideologiche, in genere con radici intellettuali nei propositi di efficienza dell’economia neoclassica (e la relativa teoria del “valore per gli azionisti”), che giustificano le azioni sproporzionate dei guadagni generati dall’ innovazione che sono stati in grado di accaparrarsi. Queste argomentazioni ideologiche favoriscono invariabilmente i contributi finanziari al processo di innovazione su entrambi i contributi dei lavoratori e quelli dei contribuenti.
In ultima analisi, proprio perché l’innovazione è un processo collettivo e cumulativo, lo squilibrio nel nesso rischio-rendimento non solo provoca una maggiore disuguaglianza, ma impedisce anche il processo di innovazione in sé.