A Pechino, Washington e Bruxelles, nei prossimi cinque anni i vecchi governanti con probabilita’ cercheranno di fare un ultimo tentativo per far funzionare il vecchio sistema. Ma più andiamo avanti senza dichiarare la fine del neoliberismo, più le sue crisi contingenti inizieranno a scontrarsi e a fondersi con le strategie che ho qui delineato. Di per sé, l’ascesa dell’ info-capitalismo avrebbe offerto una serie di risultati. Si potrebbe solo immaginare una stagnazione dell’ economia occidentale tenuta in vita dal debito alto, dai salvataggi delle banche e dalla stampa di denaro, se non fosse per la crisi demografica. Si potrebbe – a prescindere dai cambiamenti climatici – immaginare un percorso postcapitalista di transizione guidato dal graduale, spontaneo aumento degli scambi non di mercato e della produzione paritaria a fianco di un sistema vacillante sotto le sue contraddizioni interne. Più Wikipedie, più Linux, farmaci generici e scienza pubblica, l’adozione graduale delle forme di lavoro basate sull’ Open Source – e forse un cordolo legislativo sugli info-monopoli. Questo è lo scenario del post-capitalismo: una buona idea, attuata in un ambiente privo di crisi, ad un ritmo determinato da noi stessi. Ma gli shock esterni richiedono un’ azione centralizzata, strategica e veloce.
Solo lo Stato, e gli stati che agiscono insieme, sono in grado di organizzare una tale azione. L’ importanza del target sul clima e la chiarezza delle modalità tecniche di risposta ad esso implicano l’ incremento della pianificazione e delle proprieta’ dello Stato al di la’ delle aspettative e della volonta’. La possibilità di un mondo in cui il 60 per cento degli stati vanno in bancarotta a causa del costo dell’ invecchiamento della popolazione significa che abbiamo bisogno di soluzioni strutturali, non finanziarie.