Il 1 dicembre 2013 una fabbrica di abbigliamento di proprietà cinese in una zona industriale nella città italiana di Prato, a 10 chilometri dal centro di Firenze, e’ bruciata, uccidendo sette operai che erano rimasti intrappolati all’interno.
Roberto Pistonina, un sindacalista locale, ha commentato: ‘Nessuno può sorprendersi di questo perché tutti sanno che da anni, nella zona tra Firenze e Prato, centinaia se non migliaia di persone vivono e lavorano in condizioni di quasi schiavitù. ‘Prato conta circa 15.000 cinesi legalmente registrati in una popolazione totale di 200.000 abitanti, con più di 4.000 imprese di proprietà cinese. Ma altre migliaia di cinesiimmigrati si ritiene vivano in città illegalmente, lavorando fino a 16 ore al giorno per una rete di grossisti e workshop che sfornano abbigliamento a buon mercato. Quindi non possiamo permetterci il lusso di guardare la vita miserabile dei nuovi schiavi nella lontana periferia di Shanghai (o Dubai e Qatar) e criticare ipocritamente i paesi che li ospitano.
La schiavitù può essere proprio qui, all’interno della nostra casa. Noi non la vediamo – o, piuttosto, facciamo finta di non vedere. Questa nuova apartheid, questa sistematica moltiplicazione di diverse forme di servitù di fatto, non è un
incidente deplorevole, ma una necessità strutturale del capitalismo globale di oggi. Questo è forse il motivo per cui i rifugiati non vogliono entrare in Arabia Saudita. Ma, in realtà, non sono gli stessi rifugiati che entrano in Europa a offrirsi come una forza-lavoro precario a basso costo, in molti casi, alle spese dei lavoratori locali, molti dei quali reagiscono a questa minaccia unendosi ai populisti anti-immigrati ? Per molti dei rifugiati, questo rifiuto da parte dei poveri locali sarà la realizzazione del loro sogno.