“Un esempio che potrei fare è che, a un certo punto, abbiamo discusso il programma della Grecia e dibattuto il testo di un comunicato da produrre a conclusione di quella riunione dell’Eurogruppo. Ho detto va bene, citiamo la stabilità finanziaria, la sostenibilità di bilancio – tutte le cose che la Troika e altri vogliono che si dicano – ma parliamo anche della crisi umanitaria e del fatto che abbiamo a che fare con problemi come la diffusione della fame.
La risposta che ho ricevuto è stata che questo sarebbe stato ‘troppo politico’. Che non possiamo mettere questo genere di ‘espressione politica’ nel comunicato. Quindi, i dati sulla stabilità finanziaria e avanzo di bilancio andavano bene, ma i dati sulla fame e il numero di famiglie che non hanno accesso all’elettricità e al riscaldamento in inverno non andavano bene poiche’ erano “troppo politici”.
[…]
Alcune persone fanno l’esempio dell’Argentina, ma la Grecia non era nella condizione dell’Argentina nel 2002. Noi non abbiamo una moneta da svalutare nei confronti dell’Euro. Abbiamo l’euro! Uscire dall’euro implicherebbe la creazione di una nuova moneta alla quale occorre circa un anno per essere poi svalutata. Sarebbe come se l’Argentina avesse annunciato la svalutazione con 12 mesi di anticipo. Cio’ sarebbe catastrofico, perché se si desse agli investitori – o anche ai semplici cittadini – un tale preavviso liquiderebbero tutto, prenderebbero i soldi nel margine di tempo antecedente alla svalutazione, e non rimarrebbe nulla nel paese. Anche se potessimo collettivamente tornare alle nostre monete nazionali in tutta la zona euro, paesi come la Germania, la cui moneta è stata soppressa a seguito dell’introduzione dell’euro, avrebbero visto i loro tassi di cambio schizzare in alto. Ciò significherebbe che la Germania, che al momento ha un tasso di disoccupazione molto basso, ma una percentuale elevata di lavoratori poveri, avrebbe visto questi lavoratori poveri diventare disoccupati poveri. E questo si sarebbe ripetuto ovunque nel Nord Europa centrale e orientale, nei Paesi Bassi, Austria, Finlandia – in quello che io chiamo i paesi in surplus. Nel frattempo, in luoghi come l’Italia, il Portogallo e la Spagna, e anche la Francia, ci sarebbe stato un forte calo dell’attività economica (a causa della crisi in posti come la Germania) e un forte aumento dell’inflazione (perche’ le nuove valute di quei paesi si sarebbero svalutate molto significativamente, facendo decollare i prezzi all’importazione di petrolio, energia e beni di prima necessità). Quindi, se torniamo al bozzolo della stato-nazione, stiamo per avere una linea di faglia da qualche parte lungo il fiume Reno e le Alpi. Ad est del Reno e nord delle Alpi tutte le economie diventerebbero depresse e il resto d’Europa sarebbe nel territorio della stagflazione economica, che produce alta disoccupazione e prezzi elevati. Questa Europa potrebbe anche condurre ad una grande guerra o, se non una guerra vera e propria, tanto disagio che le nazioni finirebbero una contro l’altra. In entrambi i casi l’Europa, ancora una volta, affonderebbe l’economia mondiale. La Cina ne sarebbe devastata, e non ci sarebbe nemmeno il recupero tiepido degli Stati Uniti. Avremmo condannato tutto il mondo alla perdita di almeno una generazione. A causa di un tale evento, io dico ai miei amici che la sinistra non ne trae mai beneficio. Saranno sempre gli ultranazionalisti, i razzisti, i bigotti e i nazisti che ne beneficiano”.
(da “State of Power 2016: Democracy, power and resistance (English Edition)” di Yanis Varoufakis, Leigh Phillips, Elaine Coburn, Harris Gleckman, Ashish Kothari, Pallav Das, John Postill, Bernardo Gutierrez, Herbert Docena, Hilary Wainwright)