Le politiche di austerita’ (in tempo di crisi) riducono anche il capitale sociale. L’esclusione dal mercato del lavoro per periodi di durata incerta, ma che possono essere lunghi, restringe il perimetro delle relazioni sociali delle persone. Il lavoro e’ un mezzo privilegiato di integrazione sociale, non solo perche’ molte relazioni sociali nascono da scambi sul posto di lavoro, ma perche’ da’ alle persone la dignita’ legata all’ integrazione nel tessuto sociale.
In realtà, la disoccupazione è purtroppo ancora vissuta – per l’individuo che ne è vittima, così come dagli amici e conoscenti – come un difetto, una disabilità che fa del disoccupato un individuo diverso dagli altri. Il funzionamento della democrazia ha liberato gli individui, che si percepiscono responsabili del proprio destino. Essere responsabili di se stessi quando il fallimento è in fondo alla strada spinge l’individuo a chiudersi in se stesso.
Molte conversazioni con nuove conoscenze iniziano affrontando la questione dell’occupazione esercitata. Come sottolineava in sostanza Amartya Sen, la disoccupazione crea la sensazione che il sostegno altrui svanisca quando ne abbiamo più bisogno. La fiducia, altro componente del capitale sociale non può che risultarne ridotta. La “società della diffidenza” è in parte la conseguenza di questa individualizzazione dei destini sul mercato del lavoro, nonostante il fatto che la disoccupazione sia di massa.
Inoltre, la precarietà, la povertà che hanno aumentato la durata della disoccupazione sono avvertite come ingiustizia, la rottura di un contratto sociale che la gente credeva solidale: “Se la mia vita non vale niente, come posso accettare che quella altrui valga ? ”
Infine l’insicurezza, la povertà, la disoccupazione di massa, la paura del futuro riducono la fiducia nelle istituzioni e la partecipazione al funzionamento del regime democratico stesso.